IN PATAGONIA
di Bruce Chatwin
Ed. Adelphi
1982
"La Patagonia comincia sul Rio Negro.
A mezzogiorno l'autobus attraversò un ponte di ferro sul fiume e si fermò davanti a un bar. Una donna india scese col figlio. Con la sua roba aveva occupato due posti. Masticava aglio e portava dei tintinnanti orecchini di oro vero e un cappello bianco rigido, appuntato con spilloni alle trecce. Una smorfia di disgusto passò sul volto del figlio mentre la donna trafficava per scendere coi suoi pacchi sulla strada.
Le case del villaggio erano di mattoni, con tubi di stufa neri e sopra un intrico di fili elettrici. Dove finivano le case di mattoni, cominciavano le catapecchie degli indios, fatte con casse da imballaggio, fogli di plastica e tela di sacco.
Un uomo risaliva la strada, con un cappello di feltro marrone tirato giù sulla faccia. Portava un sacco di tela e camminava in mezzo a nuvole di polvere bianca, diretto verso la campagna. Alcuni bambini, riparati sotto l'arco di una porta, tormentavano un agnello. Da una capanna usciva il rumore di una radio e di grasso che friggeva. Apparve un braccio rigonfio che gettò un osso a un cane, che lo prese in bocca e scappò via."
"Las Pampas, venti miglia più avanti di Rio Pico, era l'ultimo abitato prima della frontiera. A nord torreggiava El Cono, un vulcano spento, coperto di ghiaioni color bianco-osso e di nevai più chiari. Nella valle le acque verdi del fiume scorrevano rapide sopra pietre bianche. Ogni capanna di legno aveva un pezzo di terra coltivato a patate, difeso dal bestiame da pali e cespugli spinosi.
C'erano due famiglie a Las Pampas, Patrocinio e Solis. Ciascuna accusava l'altra di furto di bestiame, ma entrambe odiavano la Compagnia governativa del legname e questo loro odio le univa."
Testi nuovi, usati, rari e d'antiquariato.
" I DISCORSI PIU' VERI SONO QUELLI CHE FACCIAMO PER CASO, TRA SCONOSCIUTI."
Cesare Pavese Dialoghi con Leucó
CIO' CHE INFERNO NON E'
di D'Avenia Alessandro
Ed. Mondadori
2014
pag. 306
"Così è Palermo: brilla nei quartieri luminosi di ricchi e arricchiti, mentre qualche metro più i là cresce l'inferno destinato a uomini la cui miseria è necessaria alla Mafia per dimostrare che lo Stato è un participio passato. Don Pino sa perché dicono no, sa chi dice no, ma insiste, come la goccia sulla roccia. Un giorno va lui a presentare la richiesta, un giorno va qualcuno del comitato intercondominiale, un giorno un amico, un giorno... Goccia dopo goccia, la pietra si spacca: - Disse la goccia alla roccia, dammi tempo che ti percio - gli ripeteva sua madre quando voleva insegnargli la pazienza che lui non aveva."
"A volte si pensa che la mafia sia la violenza del pizzo, gli omicidi, le bombe. Ma don Pino lo sa che la vera violenza è l'assenza di una scuola media in un quartiere di quasi diecimila anime."
"Un girotondo di bambini con magliette sdrucite e scolorite, qualcuno in canottiera, qualcuno a torso nudo, sembra sospendere il tempo. Mentre il gioco riprende, don Pino ne scorge uno in disparte. Sta in piedi e li osserva con le braccia conserte.
- E tu non giochi? -
- No.-
- Non vuoi? -
- No.-
- Sei sicuro? -
- Sì - risponde, con gli occhi che tradiscono il contrario.
- E perché? -
Silenzio.
- Ma prima non stavi giocando? -
- Prima sì, poi sei arrivato tu. -
- Colpa mia è? -
- Mio padre non vuole. -
- Che cosa? -
Silenzio.
- Ma chi è tuo padre? -
- Troppe domande fai. -
- E tu digli a tuo padre di venirmi a trovare, così gli spiego che puoi giocare pure tu. Che non sono pericoloso. -
Il bambino si stacca dal muro scrostato e sporco. si avvicina al centrocampo.
- Come ti chiami? -
- Giovanni. Con chi gioco? -
- Con quelli che perdono. -
Giovanni corre a posizionarsi in campo e sorride, anche se è un po' confuso.
Non sa più a che padre obbedire.
Don Pino li guarda giocare. Per un attimo i loro cuori sembrano fatti di carne e non di asfalto. Le urla si infrangono fra i vicoli come le onde del mare sugli scogli nei giorni in cui il vento frusta la terra e le speranze degli uomini."
di D'Avenia Alessandro
Ed. Mondadori
2014
pag. 306
"Così è Palermo: brilla nei quartieri luminosi di ricchi e arricchiti, mentre qualche metro più i là cresce l'inferno destinato a uomini la cui miseria è necessaria alla Mafia per dimostrare che lo Stato è un participio passato. Don Pino sa perché dicono no, sa chi dice no, ma insiste, come la goccia sulla roccia. Un giorno va lui a presentare la richiesta, un giorno va qualcuno del comitato intercondominiale, un giorno un amico, un giorno... Goccia dopo goccia, la pietra si spacca: - Disse la goccia alla roccia, dammi tempo che ti percio - gli ripeteva sua madre quando voleva insegnargli la pazienza che lui non aveva."
"A volte si pensa che la mafia sia la violenza del pizzo, gli omicidi, le bombe. Ma don Pino lo sa che la vera violenza è l'assenza di una scuola media in un quartiere di quasi diecimila anime."
"Un girotondo di bambini con magliette sdrucite e scolorite, qualcuno in canottiera, qualcuno a torso nudo, sembra sospendere il tempo. Mentre il gioco riprende, don Pino ne scorge uno in disparte. Sta in piedi e li osserva con le braccia conserte.
- E tu non giochi? -
- No.-
- Non vuoi? -
- No.-
- Sei sicuro? -
- Sì - risponde, con gli occhi che tradiscono il contrario.
- E perché? -
Silenzio.
- Ma prima non stavi giocando? -
- Prima sì, poi sei arrivato tu. -
- Colpa mia è? -
- Mio padre non vuole. -
- Che cosa? -
Silenzio.
- Ma chi è tuo padre? -
- Troppe domande fai. -
- E tu digli a tuo padre di venirmi a trovare, così gli spiego che puoi giocare pure tu. Che non sono pericoloso. -
Il bambino si stacca dal muro scrostato e sporco. si avvicina al centrocampo.
- Come ti chiami? -
- Giovanni. Con chi gioco? -
- Con quelli che perdono. -
Giovanni corre a posizionarsi in campo e sorride, anche se è un po' confuso.
Non sa più a che padre obbedire.
Don Pino li guarda giocare. Per un attimo i loro cuori sembrano fatti di carne e non di asfalto. Le urla si infrangono fra i vicoli come le onde del mare sugli scogli nei giorni in cui il vento frusta la terra e le speranze degli uomini."
ADRENALINA LETTERARIA...
LA VERITA' SUL CASO HARRY QUEBERT
di Dicker Joel
Ed. Bompiani
2013
pag. 775
"- Ma in nome del cielo, cosa stai cercando di dirmi? -
- Marcus, la chiave è nei libri.
Ce l'hai proprio sotto gli occhi. Guarda, guarda bene.
Capisci dove siamo? -"
"- Vorrei insegnarti la scrittura, Marcus, non perché tu possa imparare a scrivere, ma affinché tu possa diventare uno scrittore. Scrivere romanzi non è una cosa da niente: tutti sanno scrivere, ma non tutti sono scrittori.-
- E come si fa a sapere di essere uno scrittore, Harry? -
- Nessuno sa di essere uno scrittore, Marcus. Glielo dicono gli altri. -"
" - E i personaggi? A chi ti ispiri per i tuoi personaggi? -
- A chiunque. Un amico, la donna delle pulizie, l'impiegato della mia banca. Ma attenzione: non sono le persone in sè a ispirarti, sono le loro azioni. Il modo in cui agiscono mi fa pensare a ciò che potrebbe fare uno dei personaggi del mio romanzo. Se uno scrittore sostiene di non ispirarsi a nessuno, mente; però fa bene a dirlo, perchè così si risparmia un sacco di grane."-
- Perché? -
- Il privilegio di uno scrittore, Marcus, è quello di poter regolare i conti con i suoi simili tramite il suo lavoro. L'importante è non citarli per nome. Mai usare i nomi reali: significherebbe esporsi a querele e seccature. A che punto siamo dell'elenco? -
- Al 23. -
- Allora, questa è la regola 23, Marcus: scrivi solo fiction. Altrimenti vai incontro a un sacco di grane. -"
di Dicker Joel
Ed. Bompiani
2013
pag. 775
"- Ma in nome del cielo, cosa stai cercando di dirmi? -
- Marcus, la chiave è nei libri.
Ce l'hai proprio sotto gli occhi. Guarda, guarda bene.
Capisci dove siamo? -"
"- Vorrei insegnarti la scrittura, Marcus, non perché tu possa imparare a scrivere, ma affinché tu possa diventare uno scrittore. Scrivere romanzi non è una cosa da niente: tutti sanno scrivere, ma non tutti sono scrittori.-
- E come si fa a sapere di essere uno scrittore, Harry? -
- Nessuno sa di essere uno scrittore, Marcus. Glielo dicono gli altri. -"
" - E i personaggi? A chi ti ispiri per i tuoi personaggi? -
- A chiunque. Un amico, la donna delle pulizie, l'impiegato della mia banca. Ma attenzione: non sono le persone in sè a ispirarti, sono le loro azioni. Il modo in cui agiscono mi fa pensare a ciò che potrebbe fare uno dei personaggi del mio romanzo. Se uno scrittore sostiene di non ispirarsi a nessuno, mente; però fa bene a dirlo, perchè così si risparmia un sacco di grane."-
- Perché? -
- Il privilegio di uno scrittore, Marcus, è quello di poter regolare i conti con i suoi simili tramite il suo lavoro. L'importante è non citarli per nome. Mai usare i nomi reali: significherebbe esporsi a querele e seccature. A che punto siamo dell'elenco? -
- Al 23. -
- Allora, questa è la regola 23, Marcus: scrivi solo fiction. Altrimenti vai incontro a un sacco di grane. -"
Un insolito viaggio...
L'INCREDIBILE VIAGGIO DEL FACHIRO CHE RESTO' CHIUSO IN UN ARMADIO IKEA
Puertolas Romain
Ed. Einaudi
2014
pag.215
"La prima parola che pronunciò l'indiano Ajatashatru Lavash Patel arrivando in Francia fu una parola svedese.
Ikea.
Ecco cosa disse a mezza voce.
Poi chiuse la portiera della vecchia Mercedes rossa e aspettò, con le mani appoggiate sulle ginocchia setose, come un bravo bambino. Il tassista, che non era sicuro di aver capito bene, si girò verso il cliente, facendo scricchiolare le palline di legno del coprisedile. Dietro vide un uomo sulla quarantina, alto, secco e nodoso come un albero, con il viso olivastro e baffi giganteschi. Le sue guance scarne erano tutte cosparse di buchini, postumi di un'acne virulenta. Aveva molti anelli alle orecchie e alle labbra, come se avesse voluto chiudersele dopo l'uso, tipo zip. - Bel sistema! -, pensò Gustave Palourde, a cui sembrava una fantastica soluzione per l'incessante chiacchiericcio di sua moglie."
"Quando i reattori furono a piena potenza e l'aereo decollò, Ajatashatru capì subito: 1) che si trovava su un aereo; 2) che la valigia in cui si era nascosto non era un bagaglio in arrivo, come credeva, ma in partenza.
Per essere uno che prima non aveva mai viaggiato gli sembrò che dal giorno precedente il destino stesse recuperando alla grande. Si suol dire che viaggiare è educativo per i giovani: al ritmo a cui viaggiavo lui, ben presto sarebbe ridiventato un neonato, ammesso che un armadio e una valigia fossero i mezzi di trasporto più indicati per rimanere giovani. Non ne era sicuro, con tutti i doloretti e i mal di schiena che comportavano."
Puertolas Romain
Ed. Einaudi
2014
pag.215
"La prima parola che pronunciò l'indiano Ajatashatru Lavash Patel arrivando in Francia fu una parola svedese.
Ikea.
Ecco cosa disse a mezza voce.
Poi chiuse la portiera della vecchia Mercedes rossa e aspettò, con le mani appoggiate sulle ginocchia setose, come un bravo bambino. Il tassista, che non era sicuro di aver capito bene, si girò verso il cliente, facendo scricchiolare le palline di legno del coprisedile. Dietro vide un uomo sulla quarantina, alto, secco e nodoso come un albero, con il viso olivastro e baffi giganteschi. Le sue guance scarne erano tutte cosparse di buchini, postumi di un'acne virulenta. Aveva molti anelli alle orecchie e alle labbra, come se avesse voluto chiudersele dopo l'uso, tipo zip. - Bel sistema! -, pensò Gustave Palourde, a cui sembrava una fantastica soluzione per l'incessante chiacchiericcio di sua moglie."
"Quando i reattori furono a piena potenza e l'aereo decollò, Ajatashatru capì subito: 1) che si trovava su un aereo; 2) che la valigia in cui si era nascosto non era un bagaglio in arrivo, come credeva, ma in partenza.
Per essere uno che prima non aveva mai viaggiato gli sembrò che dal giorno precedente il destino stesse recuperando alla grande. Si suol dire che viaggiare è educativo per i giovani: al ritmo a cui viaggiavo lui, ben presto sarebbe ridiventato un neonato, ammesso che un armadio e una valigia fossero i mezzi di trasporto più indicati per rimanere giovani. Non ne era sicuro, con tutti i doloretti e i mal di schiena che comportavano."
"All'infuori del cane, il libro è il migliore amico dell'uomo. Dentro il cane è troppo scuro per leggere." (Groucho Marx)
Marx Groucho
Ed. Adelphi
1997
pag.316
"Il varietà, come tutto il resto (bé, quasi tutto il resto), a un certo punto è scomparso. La prima mazzata gliela diede il cinema. Poi ci fu la radio, e naturalmente il colpo di grazia è stata la televisione. Strano come non cambia mai niente: adesso vedo negli show televisivi le stesse cose che facevamo nel varietà. La sola differenza è che mentre noi recitavamo per un pubblico di millecinquecento persone alla volta, oggi alla TV si recita per trenta o quaranta milioni di spettatori. Un buon matematico, e anche uno così così, vi dirà che lavorando cinquant'anni in teatro avrete avuto meno spettatori che in una sera alla televisione. Terrificante, eh? Già, come molta TV."
"C'è uno che sta malissimo. Va dall'analista, e gli racconta che ha perso la voglia di vivere e pensa seriamente di uccidersi. Il dottore ascolta le sue melanconie, e poi dice al paziente che ciò di cui ha bisogno è di farsi una bella risata di cuore. Consiglia all'infelice di andare al circo e di passare la serata a ridere guardando Grock, il clown più divertente del mondo. - Quando avrà visto Grock- conclude - sono certo che si sentirà molto meglio -. Il paziente si alza, guarda tristemente il dottore, si volta e si avvia lemme lemme alla porta. Quando sta per uscire, il dottore dice:- A proposito, lei come si chiama? -. L'uomo si gira e lo fissa con occhi dolenti. - Io sono Grock. -"
"L'amore abbraccia una moltitudine di emozioni e di atteggiamenti. Credo che si possa amare Dio, un bambino, il vicino della porta accanto (oppure sua moglie, questione di scelta), o magari un can barbone. Ma l'amore nel matrimonio non viene mai definito con chiarezza. Vedendo due giovani che vanno a zonzo sottobraccio, dimentichi del mondo interi e stretti come due banane in un casco, la gente esclama invariabilmente: - Che bella coppia! - oppure - <che teneri! Guarda come si amano. Non sono deliziosi? - Bene, è dove il buon vecchio Groucho, esperto di niente, la dice grossa e svela la sua anima a un mondo ostile. Lo chiamano amore, ma a essere sinceri il più delle volte non lo è. Sono solo due persone che si attraggono sessualmente, e sperano, con l'aiuto della fortuna, di giacere presto l'una nelle braccia dell'altro."
Messico polvere, nuvole e storie...
MAHAHUAL
Cacucci Pino
Feltrinelli
2014
pag.125
"...al centro del Pacifico c'è in realtà una sorta di chiazza vasta quanto il Canada formata da una mostruosa poltiglia di plastica semiliquefatta, una zuppa di sostanze altamente tossiche ormai abbondantemente entrata nella catena alimentare, perché in quello stato si mescolano al plancton e vengono ingerite da tutte le specie che si nutrono di piccoli organismi. Si calcola che le proporzioni siano spaventose: per una parte di plancton, ci sono sei parti di plastica disgregata. A questo si aggiunge una micidiale caratteristica della plastica: attira e assorbe le sostanze chimiche. Frammenti che restano in acqua per mesi e anni aggregano in sé i solventi, gli idrocarburi, i detersivi, gli acidi... E' come se l'elemento anti-natura per eccellenza chiamasse a raccolta il peggio che l'umanità produce e getta in mare."
"Poco prima di arrivare a destinazione, c'è un posto di blocco dell'esercito, in pratica un accampamento fisso come se ne trovano spesso nelle zone più spopolate del Messico, dove la fitta selva circostante non permette di aggirarli. I militari fanno perquisizioni sporadiche, ma chiedono sempre -Da dove venite?-, e in questo caso la gamma di risposte per lo straniero è alquanto limitata (Cancun o Playa del Carmen da nord o Bacalar da sud ovest). Poi c'è la seconda domanda di rito, e questa è davvero buffa: -Dove siete diretti?-. Tra qualche chilometro la carretera finisce contro un faro, esaurito l'asfalto non c'è altro che Mahahual. Ma loro vogliono comunque sentirselo dire, e basta."
Cacucci Pino
Feltrinelli
2014
pag.125
"...al centro del Pacifico c'è in realtà una sorta di chiazza vasta quanto il Canada formata da una mostruosa poltiglia di plastica semiliquefatta, una zuppa di sostanze altamente tossiche ormai abbondantemente entrata nella catena alimentare, perché in quello stato si mescolano al plancton e vengono ingerite da tutte le specie che si nutrono di piccoli organismi. Si calcola che le proporzioni siano spaventose: per una parte di plancton, ci sono sei parti di plastica disgregata. A questo si aggiunge una micidiale caratteristica della plastica: attira e assorbe le sostanze chimiche. Frammenti che restano in acqua per mesi e anni aggregano in sé i solventi, gli idrocarburi, i detersivi, gli acidi... E' come se l'elemento anti-natura per eccellenza chiamasse a raccolta il peggio che l'umanità produce e getta in mare."
"Poco prima di arrivare a destinazione, c'è un posto di blocco dell'esercito, in pratica un accampamento fisso come se ne trovano spesso nelle zone più spopolate del Messico, dove la fitta selva circostante non permette di aggirarli. I militari fanno perquisizioni sporadiche, ma chiedono sempre -Da dove venite?-, e in questo caso la gamma di risposte per lo straniero è alquanto limitata (Cancun o Playa del Carmen da nord o Bacalar da sud ovest). Poi c'è la seconda domanda di rito, e questa è davvero buffa: -Dove siete diretti?-. Tra qualche chilometro la carretera finisce contro un faro, esaurito l'asfalto non c'è altro che Mahahual. Ma loro vogliono comunque sentirselo dire, e basta."
10 febbraio Giorno del Ricordo
LA TRAGEDIA DELLE "FOIBE"
Pallante Pierluigi
su licenza di Editori Riuniti
2008
pag.271
Per 40 giorni Trieste fu amministrata dalla Jugoslavia, dopo essere stata "liberata" dal nazifascismo, secondo un punto di vista, oppure fu "occupata" dalla Jugoslavia, secondo un'altra visione politica. E' il periodo delle deportazioni e delle "foibe".
Già il termine "foiba" ("fossa") fa scattare l'immagine di un rovesciamento totale di valori. La foiba è un tipo di dolina ed è una depressione frequente nei terreni calcarei, dovuta a fenomeni carsici, costituita da un avvallamento a forma di imbuto sul fondo del quale si trova un inghiottitoio (fessura): è quindi una spaccatura del terreno, una voragine naturale, che può raggiungere anche centinaia di metri di profondità, con un'apertura larga invece pochi metri, ed è molto diffusa in Istria. Era il luogo in cui si usava gettare quello che non serviva più o quello che era pericoloso conservare, carcasse di animali, mobili, tracce di furti, cadaveri: gettare un uomo in una foiba significava quindi trattarlo come un rifiuto. Significava anche l'ignoto, l'annullamento dell'esistenza: la morte, anche la più terribile, può essere accettata se almeno c'è una tomba che raccoglie le spoglie e una lapide che ricorda la vita trascorsa.
Le foibe, inserite nel contesto della lunga storia di violenze subite da sloveni e croati, contribuirebbe una reazione, come brutale resa dei conti, compiuta da popolazioni oppresse nei confronti dei loro oppressori. Questa analisi è sicuramente corretta, ma non spiega tutto il fenomeno: trascura infatti, oltre alla dimensione internazionale del problema, il legame tra vicende giuliane e criteri di costruzione del comunismo in Jugoslavia. Pulizia etnica quindi, ma soprattutto epurazione politica, e molte vendette personali. Tutto questo non dimenticando il ruolo di moltiplicatore degli odi politici svolto nella Venezia Giulia dallo scontro nazionale.
Pallante Pierluigi
su licenza di Editori Riuniti
2008
pag.271
Per 40 giorni Trieste fu amministrata dalla Jugoslavia, dopo essere stata "liberata" dal nazifascismo, secondo un punto di vista, oppure fu "occupata" dalla Jugoslavia, secondo un'altra visione politica. E' il periodo delle deportazioni e delle "foibe".
Già il termine "foiba" ("fossa") fa scattare l'immagine di un rovesciamento totale di valori. La foiba è un tipo di dolina ed è una depressione frequente nei terreni calcarei, dovuta a fenomeni carsici, costituita da un avvallamento a forma di imbuto sul fondo del quale si trova un inghiottitoio (fessura): è quindi una spaccatura del terreno, una voragine naturale, che può raggiungere anche centinaia di metri di profondità, con un'apertura larga invece pochi metri, ed è molto diffusa in Istria. Era il luogo in cui si usava gettare quello che non serviva più o quello che era pericoloso conservare, carcasse di animali, mobili, tracce di furti, cadaveri: gettare un uomo in una foiba significava quindi trattarlo come un rifiuto. Significava anche l'ignoto, l'annullamento dell'esistenza: la morte, anche la più terribile, può essere accettata se almeno c'è una tomba che raccoglie le spoglie e una lapide che ricorda la vita trascorsa.
Le foibe, inserite nel contesto della lunga storia di violenze subite da sloveni e croati, contribuirebbe una reazione, come brutale resa dei conti, compiuta da popolazioni oppresse nei confronti dei loro oppressori. Questa analisi è sicuramente corretta, ma non spiega tutto il fenomeno: trascura infatti, oltre alla dimensione internazionale del problema, il legame tra vicende giuliane e criteri di costruzione del comunismo in Jugoslavia. Pulizia etnica quindi, ma soprattutto epurazione politica, e molte vendette personali. Tutto questo non dimenticando il ruolo di moltiplicatore degli odi politici svolto nella Venezia Giulia dallo scontro nazionale.
OGGI INCOMINCIA IL SEI NAZIONI.
L'ARTE DEL RUGBY
Zavos Sipro
con Alessandro Baricco, Carlo Bonini, Vincenzo Cerami, Marco Paolini
Ed. Einaudi
2007
pag. 126
"L'irregolare rimbalzo del pallone conferisce al rugby un aspetto anarchico. Non si sa mai di preciso cosa accadrà dopo. La palla tonda del calcio, per esempio, ha un che di inevitabile nel modo in cui rotola, riducendo così le variabili legate alla sfortuna e all'imprevedibilità del gioco. Ma nel rugby nessun movimento è precisamente lo stesso a causa della testardaggine della palla, che sgambetta e ruota come un piccolo terrier che fa le capriole. E' una caparbietà che rispecchia la caparbietà dell'esistenza. Il rugby insegna ad accettare il rimbalzo della palla della vita. Lo spettatore di rugby impara a prendere il brutto e l'ingiusto insieme al bello e al giusto. Una partita di rugby accentua le emozioni provate durante un'ora intensa di gloriosa vita. E' una realtà intensificata. Vincere è importante. Ma anche accettare la sconfitta con dignità è (o dovrebbe essere) il tratto distintivo di un tifoso di rugby."
"Non si potrà mai capire il rugby a meno che non lo si sia visto giocare dai bambini di sei anni nelle fredde mattine d'inverno su duri campi di football di periferia. Non si potrà mai arrivare a comprendere l'assurdo spettacolo degli adulti che corrono avanti e indietro per ottanta minuti e sporcandosi per inseguire una piccola palla ovale a meno che non si siano guardati i ragazzini delle squadre junior praticare questo sport. E' così che imparano a superare la paura e il dolore. E' così che imparano a essere nobili, per il bene della squadra, a prendere volontariamente la grezza ambizione individuale e a sottometterla alle regole del gioco. E' così che imparano ad essere uomini." (Miranda Devine editorialista)
"L'aristocratico rugby è sport da muratori con tre lauree, da poeti incantati di fronte all'anello di Mobius. E' una crittografia di Paolo Conte o un indovinello goliardico di Umberto eco. Un rebus. Ha la bellezza di una contadina pettoruta con il secchio dell'acqua in testa, la quale tornando dalla fonte, recita a memoria le poesie di Caproni. Somiglia allo sgelo della Bohème o a un notturno di Byron. E' dipsomane come Poe, disperato come Neval, pazzo come Tati." (Vincenzo Cerami)
Zavos Sipro
con Alessandro Baricco, Carlo Bonini, Vincenzo Cerami, Marco Paolini
Ed. Einaudi
2007
pag. 126
"L'irregolare rimbalzo del pallone conferisce al rugby un aspetto anarchico. Non si sa mai di preciso cosa accadrà dopo. La palla tonda del calcio, per esempio, ha un che di inevitabile nel modo in cui rotola, riducendo così le variabili legate alla sfortuna e all'imprevedibilità del gioco. Ma nel rugby nessun movimento è precisamente lo stesso a causa della testardaggine della palla, che sgambetta e ruota come un piccolo terrier che fa le capriole. E' una caparbietà che rispecchia la caparbietà dell'esistenza. Il rugby insegna ad accettare il rimbalzo della palla della vita. Lo spettatore di rugby impara a prendere il brutto e l'ingiusto insieme al bello e al giusto. Una partita di rugby accentua le emozioni provate durante un'ora intensa di gloriosa vita. E' una realtà intensificata. Vincere è importante. Ma anche accettare la sconfitta con dignità è (o dovrebbe essere) il tratto distintivo di un tifoso di rugby."
"Non si potrà mai capire il rugby a meno che non lo si sia visto giocare dai bambini di sei anni nelle fredde mattine d'inverno su duri campi di football di periferia. Non si potrà mai arrivare a comprendere l'assurdo spettacolo degli adulti che corrono avanti e indietro per ottanta minuti e sporcandosi per inseguire una piccola palla ovale a meno che non si siano guardati i ragazzini delle squadre junior praticare questo sport. E' così che imparano a superare la paura e il dolore. E' così che imparano a essere nobili, per il bene della squadra, a prendere volontariamente la grezza ambizione individuale e a sottometterla alle regole del gioco. E' così che imparano ad essere uomini." (Miranda Devine editorialista)
"L'aristocratico rugby è sport da muratori con tre lauree, da poeti incantati di fronte all'anello di Mobius. E' una crittografia di Paolo Conte o un indovinello goliardico di Umberto eco. Un rebus. Ha la bellezza di una contadina pettoruta con il secchio dell'acqua in testa, la quale tornando dalla fonte, recita a memoria le poesie di Caproni. Somiglia allo sgelo della Bohème o a un notturno di Byron. E' dipsomane come Poe, disperato come Neval, pazzo come Tati." (Vincenzo Cerami)
Una famiglia un po' particolare...
LA MIA FAMIGLIA E ALTRI ANIMALI
Durrel Gerald
Adelphi
1997
pag. 352
"Vorrei rendere un tributo speciale a mia madre, alla quale questo libro è dedicato. Come un gentile, entusiasta, comprensivo Noè, ha guidato con grande perizia il suo vascello pieno di strana progenie attraverso i mari tempestosi della vita, sempre minacciata dalla possibilità dell'ammutinamento, sempre circondata dalle secche dello scoperto in banca e degli sperperi, senza mai essere sicura che la ciurma avrebbe approvato la sua rotta, ma certa che sarebbe stata biasimata per tutto quello che andava storto. Che sia sopravvissuta alla traversata è un miracolo, ma è sopravvissuta e, per giunta, con la ragione più o meno intatta. Come osserva giustamente mio fratello Larry, possiamo essere orgogliosi del modo come l'abbiamo educata; lei ci fa onore. Che abbia raggiunto quel felice nirvana dove nulla più sconvolge o sorprende è dimostrato dal fatto che di recente, in un fine settimana in cui era tutta sola in casa, si è vista capitare tra capo e collo una serie di ceste che contenevano due pellicani, un ibis scarlatto, un avvoltoio e otto scimmie. Una simile sorpresa avrebbe avrebbe potuto sgomentare una creatura meno solida, ma non mia madre. Il lunedì mattina l'ho trovata nel garage, con una scatola di sardine in mano, inseguita torno torno da un furioso pellicano che lei stava cercando di nutrire.
- Meno male che sei venuto, caro, - mi ha detto ansimando - questo pellicano è un po' difficile da trattare.-"
Durrel Gerald
Adelphi
1997
pag. 352
"Vorrei rendere un tributo speciale a mia madre, alla quale questo libro è dedicato. Come un gentile, entusiasta, comprensivo Noè, ha guidato con grande perizia il suo vascello pieno di strana progenie attraverso i mari tempestosi della vita, sempre minacciata dalla possibilità dell'ammutinamento, sempre circondata dalle secche dello scoperto in banca e degli sperperi, senza mai essere sicura che la ciurma avrebbe approvato la sua rotta, ma certa che sarebbe stata biasimata per tutto quello che andava storto. Che sia sopravvissuta alla traversata è un miracolo, ma è sopravvissuta e, per giunta, con la ragione più o meno intatta. Come osserva giustamente mio fratello Larry, possiamo essere orgogliosi del modo come l'abbiamo educata; lei ci fa onore. Che abbia raggiunto quel felice nirvana dove nulla più sconvolge o sorprende è dimostrato dal fatto che di recente, in un fine settimana in cui era tutta sola in casa, si è vista capitare tra capo e collo una serie di ceste che contenevano due pellicani, un ibis scarlatto, un avvoltoio e otto scimmie. Una simile sorpresa avrebbe avrebbe potuto sgomentare una creatura meno solida, ma non mia madre. Il lunedì mattina l'ho trovata nel garage, con una scatola di sardine in mano, inseguita torno torno da un furioso pellicano che lei stava cercando di nutrire.
- Meno male che sei venuto, caro, - mi ha detto ansimando - questo pellicano è un po' difficile da trattare.-"
Un giallo "diverso" da tutti gli altri.
LO STRANO CASO DEL CANE UCCISO A MEZZANOTTE
Haddon Mark
Ed. Einaudi
2009
pag. 247
" Questo libro è un giallo.
Siobhan una volta mi ha detto che avrei dovuto scrivere qualcosa che mi sarebbe piaciuto leggere. La maggior parte dei libri che leggo parlano di matematica o di scienza. I romanzi non mi piacciono. Nei romanzi le persone dicono frasi del tipo: - In me scorrono venature di ferro e d'argento, striate del più miserevole fango. Il mio spirito non può essere contenuto nel pugno serrato che coloro le cui azioni non dipendono dalle passioni vorrebbero poter trattenere -. Che significa? Io non lo so. E neanche mio padre. E neppure Siobhan o il signor Jeavons. Gliel'ho chiesto. Siobhan ha lunghi capelli biondi e un paio di occhiali di plastica verde. Il signor Jeavons profuma di sapone e porta scarpe marroni, ognuno delle quali ha circa 60 minuscoli fori circolari.
Però i gialli mi piacciono. Così ho deciso di scriverne uno."
"Quelli che vanno nella mia scuola sono stupidi. Solo che non mi è permesso dirlo, anche se è vero. Vogliono che dica che hanno delle difficoltà nell'apprendimento o hanno delle esigenze particolari. Il termine tecnico esatto è Gruppo H. Questa sì che è una cosa stupida, perché tutti hanno dei problemi di apprendimento, perché imparare a parlare Francese o capire il principio della Relatività è difficile, ed è altrettanto vero che ognuno ha delle esigenze particolari, come mio padre che deve portarsi dietro delle pillole di dolcificante da mettere dentro il caffè per non ingrassare, oppure la signora Peters che gira sempre con un apparecchio acustico color crema, o Siobhan che ha degli occhiali talmente spessi che ti fanno venire il mal di testa se li provi, e nessuna di queste persone viene classificata Gruppo H, anche se hanno delle esigenze particolari."
Haddon Mark
Ed. Einaudi
2009
pag. 247
" Questo libro è un giallo.
Siobhan una volta mi ha detto che avrei dovuto scrivere qualcosa che mi sarebbe piaciuto leggere. La maggior parte dei libri che leggo parlano di matematica o di scienza. I romanzi non mi piacciono. Nei romanzi le persone dicono frasi del tipo: - In me scorrono venature di ferro e d'argento, striate del più miserevole fango. Il mio spirito non può essere contenuto nel pugno serrato che coloro le cui azioni non dipendono dalle passioni vorrebbero poter trattenere -. Che significa? Io non lo so. E neanche mio padre. E neppure Siobhan o il signor Jeavons. Gliel'ho chiesto. Siobhan ha lunghi capelli biondi e un paio di occhiali di plastica verde. Il signor Jeavons profuma di sapone e porta scarpe marroni, ognuno delle quali ha circa 60 minuscoli fori circolari.
Però i gialli mi piacciono. Così ho deciso di scriverne uno."
"Quelli che vanno nella mia scuola sono stupidi. Solo che non mi è permesso dirlo, anche se è vero. Vogliono che dica che hanno delle difficoltà nell'apprendimento o hanno delle esigenze particolari. Il termine tecnico esatto è Gruppo H. Questa sì che è una cosa stupida, perché tutti hanno dei problemi di apprendimento, perché imparare a parlare Francese o capire il principio della Relatività è difficile, ed è altrettanto vero che ognuno ha delle esigenze particolari, come mio padre che deve portarsi dietro delle pillole di dolcificante da mettere dentro il caffè per non ingrassare, oppure la signora Peters che gira sempre con un apparecchio acustico color crema, o Siobhan che ha degli occhiali talmente spessi che ti fanno venire il mal di testa se li provi, e nessuna di queste persone viene classificata Gruppo H, anche se hanno delle esigenze particolari."
Oggi un aperitivo di lettura, prima di divorare i libri come Firmino...
FIRMINO
Savage Sam
Ed. Einaudi
2008
pag. 179
"All'inizio mi avventavo senza andare troppo per il sottile, in modo indifferenziato, abbandonandomi a un 'orgia insaziabile - un boccone di Faulkner era come un boccone di Flaubert, per quel che mi riguardava. Ma presto cominciai a notare delle sottili differenze. Notai, prima di tutto, che ogni libro aveva un sapore diverso: dolce, amaro, aspro, agrodolce, rancido, salato, agro. Notai, anche, che ciascun gusto - e, con il passare del tempo e l'acuirsi dei sensi, il sapore di ciascuna pagina, frase e infine parola - portava con sé e suscitava nella mente un insieme di immagini e rappresentazioni di cose di cui non sapevo nulla a causa della mia limitata esperienza del mondo cosiddetto "reale": grattacieli, porti, cavalli, cannibali, una albero in fiore, un letto disfatto,..."
"Non ho mai avuto molto coraggio, ne fisico ne di qualsiasi altra natura, ed è stato duro riconoscere quanto fosse insulsa la mia esistenza, ordinaria com'era, e priva di una storia in cui incarnarsi. Così molto presto, inizia a consolarmi con l'idea assurda, ridicola, di avere d'avvero un Destino. Cominciai a cercarlo nei libri appunto, viaggiando nello spazio e nel tempo. Andavo a trovare Daniel Defoe a Londra per una visita guidata della peste. Sentivo il monatto scampanellare, urlando: "Portate fuori i morti", e il puzzo dei cadaveri bruciati. Ce l'ho ancora nelle narici. Per tutta Londra la gente moriva come ratti - a dire il vero, pure i ratti morivano, come la gente. Dopo un paio d'ore, provavo il bisogno di cambiare scena. Così, me ne andavo in Cina, dove mi arrampicavo lungo un sentiero lungo e ripido - tra bambù e cipressi -, per starmene un po' seduto all'ingresso di un piccolo rifugio di montagna, all'aperto con il vecchio Tu Fu."
Savage Sam
Ed. Einaudi
2008
pag. 179
"All'inizio mi avventavo senza andare troppo per il sottile, in modo indifferenziato, abbandonandomi a un 'orgia insaziabile - un boccone di Faulkner era come un boccone di Flaubert, per quel che mi riguardava. Ma presto cominciai a notare delle sottili differenze. Notai, prima di tutto, che ogni libro aveva un sapore diverso: dolce, amaro, aspro, agrodolce, rancido, salato, agro. Notai, anche, che ciascun gusto - e, con il passare del tempo e l'acuirsi dei sensi, il sapore di ciascuna pagina, frase e infine parola - portava con sé e suscitava nella mente un insieme di immagini e rappresentazioni di cose di cui non sapevo nulla a causa della mia limitata esperienza del mondo cosiddetto "reale": grattacieli, porti, cavalli, cannibali, una albero in fiore, un letto disfatto,..."
"Non ho mai avuto molto coraggio, ne fisico ne di qualsiasi altra natura, ed è stato duro riconoscere quanto fosse insulsa la mia esistenza, ordinaria com'era, e priva di una storia in cui incarnarsi. Così molto presto, inizia a consolarmi con l'idea assurda, ridicola, di avere d'avvero un Destino. Cominciai a cercarlo nei libri appunto, viaggiando nello spazio e nel tempo. Andavo a trovare Daniel Defoe a Londra per una visita guidata della peste. Sentivo il monatto scampanellare, urlando: "Portate fuori i morti", e il puzzo dei cadaveri bruciati. Ce l'ho ancora nelle narici. Per tutta Londra la gente moriva come ratti - a dire il vero, pure i ratti morivano, come la gente. Dopo un paio d'ore, provavo il bisogno di cambiare scena. Così, me ne andavo in Cina, dove mi arrampicavo lungo un sentiero lungo e ripido - tra bambù e cipressi -, per starmene un po' seduto all'ingresso di un piccolo rifugio di montagna, all'aperto con il vecchio Tu Fu."
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