" I DISCORSI PIU' VERI SONO QUELLI CHE FACCIAMO PER CASO, TRA SCONOSCIUTI."

Cesare Pavese Dialoghi con Leucó

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LA SPOSA


Mauro Covacich

Bompiani 2014 pag. 185






"Avanzo a quattordici all'ora nel primo buio del pomeriggio. Tre passi al secondo, duecentoquaranta metri al minuto, quattordici chilometri all'ora. E' la mia velocita' di crociera e in questo punto senza marciapiedi sento nitido il metronomo delle scarpe sul ghiaino. Esco a correre ogni sera e ogni sera la corsa entra in me. Lava tutto quello che la giornata ha imbrattato. Scorre dentro e lucida le pietre dei pensieri piu' grossi. E' un fiume che bevo per intero, con l'umidita', il fumo delle macchine, la puzza dei concimi. Prima di guadagnare l'aperto della campagna devo fronteggiare ancora qualche minuto di traffico. Fronteggiare e' proprio la parola che cercavo, perche' corro in senso contrario alla direzione di marcia, andando incontro agli anabbaglianti, offrendo la faccia e le righe catarifrangenti della pettorina al mondo che rientra. Sul mio stesso lato si avvicina una sagoma complessa. Individuo in controluce un cane al guinzaglio, una donna non giovane, mi pare, e qualcosa come una bacchetta o un frustino. La sagoma cammina in modo scomposto, sembra una macchia di Rorschach in movimento nell'alone lattiginoso dei fari, ma e' chiaramente una signora a passeggio col cane. E' strano solo quel frustino, un tocco agreste, mandriano, in mezzo all'urbanissimo caos di viale Grigoletti. Per frustare chi, cosa? La donna e' vecchia, adesso lo vedo bene, e impugna forse l'unico reperto fossile di tutto cio' che e' stata. Solo il gesto e' rimasto, dell'era delle vacche. Non le vacche, non la casa con la stalla. Anche il cane, smilzo, anfetaminico, non e' certo un cane pastore. Quei due sono scesi da un appartamento qui intorno. Siamo tre cose fuori posto su questo bordo strada. Senza contare la bacchetta..."


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TEMPI GLACIALI


Fred Vargas

Einaudi 2015 pag. 442






"Primissimi giorni di aprile. A Parigi il clima diventava piu' mite, pero' sotto l'aria restava fredda. Il sotto dell'aria. Ma se c'era davvero un sotto dell'aria, come si chiamava l'altra parte? Il sopra dell'aria? Marie-France aggrotto' le sopracciglia, irritata da quei piccoli interrogativi che le passavano per la testa come moscerini sfaccendati. Proprio quando aveva appena salvato una vita. O invece si diceva la superficie dell'aria? Si sistemo' il cappotto rosso e ficco' le mani in tasca. A destra le chiavi, il portamonete, ma a sinistra una busta spessa che non ci aveva infilato lei. La tasca sinistra era riservata alla tessera dei mezzi pubblici e ai quarantotto centesimi per il pane. Si fermo' sotto un albero a riflettere. Con in mano la lettera di quella povera donna che era caduta. "Pensaci su sette volte prima di agire" era la solfa di suo padre, che peraltro non aveva mai agito in vita sua. Probabile che non riuscisse a pensarci su piu' di quattro volte. La calligrafia sulla busta era tremolante, e il nome sul retro, Alice Gauthier, spiccava a grandi caratteri  incerti. Era proprio la sua lettera. Marie-France aveva rimesso tutto dentro la borsa, e nella fretta di raccattare i documenti, portafoglio, medicine e fazzoletti prima che li afferrasse il vento, aveva intascato la lettera. La busta era caduta dalla parte opposta rispetto alla borsetta, evidentemente la donna la teneva nella mano sinistra. Ecco cosa stava andando a fare tutta sola, penso' Marie-France: a imbucare una lettera..."
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UN ALTRO GIRO DI GIOSTRA


Tiziano Terzani

Longanesi 2004 pag. 578

(usato)




"Ogni stagione ha i suoi frutti, e la mia stagione giornalistica aveva fatto i suoi. Mi succedeva ormai di ritrovarmi sempre piu' spesso in situazioni simili a quelle in cui ero gia' stato, ad affrontare problemi che gia' conoscevo. Il peggio era che scrivevo sentendo l'eco di storie e di parole gia' scritte vent'anni prima. E poi: i fatti, dietro ai quali un tempo correvo con la passione di un segugio, non mi interessavano piu' allo stesso modo. Col passare degli anni avevo incominciato a capire che i fatti non sono mai tutta la verita' e che al di la' dei fatti c'e' ancora qualcosa - come un altro livello di realta' - che sentivo di non afferrare e che comunque sapevo non interessare il giornalismo, specie per come viene ormai praticato. Avessi continuato in  quel mestiere, al massimo avrei potuto tentare di essere come ero gia' stato. Il cancro mi offriva una buona occasione: quella di non ripetermi. Non era la sola. Lentamente mi accorsi che il cancro era diventato una sorta di scudo dietro il quale mi proteggevo, una difesa contro tutto quel che prima mi aggrediva, una sorta di baluardo contro la banalita' del quotidiano, gli impegni sociali, contro il fare conversazione. Col cancro mi ero conquistato il diritto di non sentirmi piu' in dovere di nulla, di non avere piu' sensi di colpa. Finalmente ero libero. Totalmente libero. Parra' strano, e a volte pareva stranissimo anche a me, ma ero felice.
"Possibile che bisogna proprio avere il cancro per godere della vita?" mi scrisse un vecchio amico inglese..."
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LA PELLE DELL'ORSO


Matteo Righetto

Guanda 2013 pag. 153






"I primi raggi di sole iniziarono a filtrare obliqui attraverso i rami degli abeti e si appoggiano tiepidi sul viso del ragazzo. Dalla terra scura e dal muschio verde ai lati del sentiero  iniziarono a sollevarsi veli bianchi di umidità. Il sottobosco colpito dal sole cominciò a respirare e risvegliarsi, stiracchiando gli arbusti e le radici dei rovi. Fringuelli e ciuffolotti, cince e usignoli cantano più forte, rincorrendosi  con voci e richiami sempre più chiari e vividi.
La fragranza del pino mugo che si diffondeva nell'aria fece tornare in mente a Domenico il profumo della pelle chiara di sua mamma, quando da piccolo lo sollevava  e lo stringeva al petto. Il sentiero saliva nel bosco e lui, tenendo lo sguardo a terra fisso sulle punte degli scarponi  che alternavano il passo affaticato, pensava a lei in continuazione. 
La rivedeva mentre rammendava i suoi vestiti sdruciti dopo un ruzzolone o mentre falciava il prato con la pelle arrossata dall'estate e i capelli legati dietro la nuca. Gli mancavano il suo sorriso, le sue dita, le sue guance calde. E ogni mattina, dopo ogni risveglio, gli mancava il latte scaldato da lei. Perché quando era lei a versarlo nella scodella, il calore di quel latte era diverso da tutti gli altri. Era un altro caldo. E nessun latte in nessuna scodella era stato uguale a quello, dopo che lei se n'era andata."
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INSCIALLAH
Oriana Fallaci

Superpocket 1997 pag. 795

(usato)






"Apparteniamo a un'epoca in cui cinema e Tv si sostituiscono alla parola scritta, al racconto scritto, e nel dialogo con il mondo i registi anzi gli attori si sostituiscono agli scrittori. Nessuno infatti, neanch'io, resiste al narcotico richiamo dello schermo, al perpetuo svago offertoci da un sistema di comuicazione che trasforma in pubblico trastullo anche la sacra intimita' del sesso e la inviolabile solennita' della morte. Soggiogati, ipnotizzati dalla moderna Medusa, passiamo ore a guardar le sue immagini e ascoltare i suoi suoni. Di conseguenza leggiamo assai meno, e molti non leggono piu'. Ritengono che si possa vivere senza leggere cioe' senza la parola scritta, il racconto scritto, gli scrittori. Invece no. No, e non tanto perche' lo stesso cinema e la stessa Tv non prescindono dalla parola scritta, dal racconto scritto, dagli scrittori, quanto perche' lo schermo non permette e non permettera' mai di pensare come si pensa leggendo: le sue immagini e i suoi rumori distraggono troppo, impediscono di concentrarsi. Oppure suggeriscono riflessioni troppo superficiali e passeggere. Inoltre si preoccupa troppo di stupire e divertire, lo schermo, diverte e stupisce con mezzi troppo rudimentali e giocattoleschi: se ne frega delle tue meningi."